La speranza e il viaggio-

viaggi di Romeni in Sicilia

Romeni: a volte dimentichiamo che ognuno di loro ha una propria storia, una specifica identità, che ognuno di loro è parte di una nazione che ha espresso artisti, scrittori, politici, filosofi, patrioti. Siamo abituati a immaginarli come zingari senza dimora e senza regole, o comunque come un’entità collettiva, mentre sui loro bus strapieni compiono il viaggio della speranza che li porterà nel regno del benessere.
Pochi sanno che il ponte di speranza tra la Romania e l’Italia ha radici profonde: risale a più di un secolo fa, a un periodo in cui “i romeni” non erano un’etnia da guardare con sospetto ma “persone” di nazionalità romena.
Allora, la speranza non riguardava un più facile guadagno o migliori condizioni di vita, ma la vita stessa. Nella 2a metà dell’Ottocento infatti l’Italia meridionale e la Sicilia in particolare venivano scelte dai romeni ammalati di tubercolosi per il loro clima caldo e mite che si riteneva potesse dare remissione o guarire la malattia.
I viaggiatori che giungevano in Sicilia con questo obiettivo non erano viaggiatori nel senso classico della parola; allora come oggi quello che li spingeva al viaggio non era la curiosità di un’esperienza o del confronto con altre civiltà, né la ricerca del bello, ma una necessità primaria. Proprio per questo di essi non restano diari di viaggio: le storie che possiamo ricostruire e che un po’ simboleggiano tutte le altre, sono quelle di Nicolae Balcescu e di Vasile Alecsandri.
Nicolae Balcescu, patriota e storico, soggiornò in Sicilia due volte. La prima nel 1847 (ed ebbe infatti modo di incontrare i suoi connazionali Alecsandri e Negri di cui più avanti), la seconda nel 1852, dopo aver partecipato ai moti del ’48 in Francia e Romania ed essere stato costretto all’esilio.
Di Balcescu non rimane un diario; la sua situazione psicologica non gli consentiva di apprezzare la bellezza dei luoghi e, quando le condizioni di salute glielo permettevano, preferiva dedicarsi ai prediletti studi storici che temeva di non riuscire a completare. Il clima siciliano era la sua ultima speranza e l’unica cosa che gli interessava.
Ma dopo appena un mese dal suo arrivo a Palermo Balcescu moriva, solo e povero, nell’hotel Trinacria dove alloggiava.
Il proprietario dell’hotel non volle pagare le spese per la sepoltura, e le spoglie dell’esule finirono in una fossa comune al cimitero dei Cappuccini. Lo ricorda una lapide apposta in via Butera sulla facciata dove prima si trovava il Trinacria. Lo stesso hotel, osserva con finezza la scrittrice Margareta Dumitrescu, dove Tomasi di Lampedusa colloca, quasi nello stesso periodo, la morte del principe Fabrizio Salina.
Vasile Alecsandri, poeta, studioso di folklore, patriota, statista, abituato a viaggiare fin dall’età di 13 anni, aveva lo spirito del viaggiatore. Conosceva, oltre al Marocco e alla Turchia, molti Paesi dell’Europa occidentale tra cui la Francia e l’Italia, e nei suoi viaggi amava abbandonarsi “al capriccio della fantasia”.
Ma il suo “viaggio della speranza”, provocato da una appassionata e romantica storia d’amore, fu del tutto diverso dai precedenti.
Nel 1845 si innamora della ventunenne Elena Negri appena divorziata, che l’anno seguente si ammala. I due intraprendono così un viaggio in bilico tra speranza e disperazione, che li porta in Germania, in Francia, in Italia. Dopo un periodo trascorso a Venezia, Elena peggiora e le viene consigliato il clima siciliano. I due amanti giungono in Sicilia, inseguendo il sole, e a Palermo, nel 1847, vivono la conclusione della loro tenera e drammatica storia.
Alecsandri ha lasciato alcune annotazioni di viaggio e alcune lettere. In una lettera del gennaio 1847, indirizzata a un amico in Moldavia, descrive con serenità ed entusiasmo una giornata “di sole splendido”, i giardini con i loro alberi da frutto e i loro profumi, il panorama col monte Pellegrino, la barche sul mare azzurro, i canti dei pescatori.
Ma bastano pochi giorni a disperdere l’illusione. Anche l’inverno siciliano porta vento, freddo e pioggia; Elena, che nei giorni di sole sembrava rifiorire, peggiora nuovamente. La lettera esasperata e angosciata scritta da Vasile alla sorella di lei, afferma: “Non credo più ai climi caldi, non credo al sole dell’Italia…”. Con l’aggravarsi della donna amata, la prosa di Alecsandri diventa sempre più sintetica e opaca, triste come “la pioggia ininterrotta” che li spinge a ripartire per Napoli, col progetto di raggiungere Costantinopoli. E’ un sogno folle, ed infatti Elena nel maggio del 1847 muore sulla nave tra le braccia di Vasile.
Vasile Alecsandri, dopo la sconfitta dei moti del 1848, subì due anni di esilio.Viaggiò da esule in Francia ed Austria, e poi, diventato ministro degli esteri, anche in Italia, ma non tornò mai più in Sicilia, anche se la terra siciliana aveva lasciato una traccia forte nella sua mente, come dimostrano i versi dedicati a Palermo: “Sotto il dolce cielo limpido/Palermo incoronata/con ghirlanda profumata/di fiori d’arancio”… Quei fiori che un destino tragico aveva negato al suo amore.
Dopo il periodo dell’Ottocento, concluso il periodo dei viaggi della speranza, la Sicilia, a partire dagli anni Trenta e con l’interruzione del periodo bellico, fu meta di viaggio come avventura dello spirito e fu visitata da molti viaggiatori romeni. Nel 1938 il filosofo Ion Petrovici, contrariamente alla tendenza allora in voga per cui si partiva dalla Sicilia orientale, inizia il suo viaggio da Palermo, rimanendo colpito dal Duomo di Monreale, “una delle maraviglie dell’universo”; prosegue poi verso Agrigento, dove ammira la flora mediterranea e “le palme sullo sfondo rossastro del tramonto”, Siracusa, Catania, Taormina. Petrovici incontra a Palermo il filosofo Giovanni Gentile con cui discute della politica del tempo e di Mussolini, che Gentile, a detta di Petrovici, “deifica”.
Il noto filosofo e studioso di religioni Mircea Eliade viaggia in Italia più volte e visita la Sicilia per la prima volta nel 1951, fermandosi anch’egli a Taormina, Catania, Siracusa, Palermo. In Mircea Eliade la terra siciliana, anche se definita “fiabesca”, non suscita impressioni vivide se non di rado, ad esempio di fronte al “sole accecante” di Siracusa, o al senso di “familiarità” che gli procura la città di Palermo, pur a lui del tutto sconosciuta. Quasi sempre le sue descrizioni siciliane vivono di luce riflessa richiamandogli immagini di altri viaggi, soprattutto dell’India.
All’inizio degli anni ‘70 Alexandru Paleologu ammira Palermo nella sua dimensione quotidiana e pittoresca, -le strade, i quartieri, i mercati, le palme che lo colpiscono dandogli un senso di straniamento, come chi veda qualcosa di incongruo e inaspettato-; ma osserva aleggiare in essa un senso di malinconia, tanto che afferma: “Palermo mi è piaciuta ma non posso dire di essermici sentito bene”. Paleologu è uno dei rari viaggiatori romeni che si siano fermati a Cefalù. Scende dal treno appositamente durante il viaggio da Messina a Palermo, attratto dal suo nome greco e dalla fama della Cattedrale, ma anche da un ricordo letterario poi rivelatosi errato (una pagina dello scrittore Maurras che si riferiva invece a un’altra città). La sua sosta gli permette di realizzare un sogno a lungo accarezzato: poter fare il bagno nel Mediterraneo.
Una città “in miniatura”, “fittizia”, dove tutto sembra uno scenario, appare Taormina allo scrittore Eugen Barbu che la visita nel 1972. Come altri stranieri in Sicilia, Barbu è colpito dalla mescolanza dei profumi della primavera siciliana. A Catania egli non può fare a meno di rilevare il contrasto tra la sporcizia e il degrado della città e la bellezza dei monumenti, soprattutto del Monastero dei Benedettini col suo “meraviglioso chiostro arabo” e il mosaico “divino”.
Octavian Paler, in Sicilia anch’egli nei primi anni ’70, cerca di cogliere l’animus del luogo e pensa di individuare le caratteristiche dell’isola e dei suoi abitanti attraverso i 4 elementi: acqua, aria, terra, fuoco, di cui parla Empedocle.
Paler ha dedicato alla Sicilia dei brani intensamente poetici, come quando descrive il territorio“disperato, arido e pietroso” delle zone interne: “La Sicilia è un frutto mediterraneo dalla buccia profumata e luminosa, che racchiude un immenso nocciolo di solitudine”. Eppure proprio di questo territorio desolato, illuminato dalla “luce tossica della terra cronicamente priva d’acqua”, egli subisce il fascino, apprezzandolo più di quello costiero per la sua autenticità. A Cefalù Paler prova un’intensa emozione davanti al Duomo: “Le disponibilità al sognare nascevano da pochi elementi, luce, vento, pietra…Il Duomo si stagliava nell’aria nitidamente, razionale, ma al di là di esso incominciavano le ipotesi dalle quali ognuno costruisce ciò che vuole…Mancava solo un mulino a vento. Mi hanno sempre attirato questi uccelli crocifissi. I mulini a vento macinano chimere, operazione psicologica molto affine alla Sicilia….Così ricordo Cefalù. Aspettando che l’ombra del Duomo roteasse sull’erba come le ali di un mulino a vento”.
Alla fine degli anni ‘70 la poetessa Ana Blandiana privilegia nella narrazione del suo viaggio in Sicilia i sentimenti e le emozioni dettati dai luoghi. Così annota i paesaggi immersi in un silenzio irreale, la gente dai visi stanchi e severi, le donne in nero, la stazione deserta e la “tristezza opaca” di Segesta, il fascino delle rovine dei templi di Agrigento Palermo con la sua atmosfera orientale e il contrasto tra degrado e passato splendore. E alla fine del viaggio, Ana, che era giunta in Sicilia pensando di dare realtà concreta a un luogo che nei racconti e nei film appariva quasi irreale e leggendario, afferma di aver riportato con sé un’immagine della Sicilia ancora più enigmatica e strana.
Nei primi anni 80 il reporter Ioan Grigorescu, venuto in Sicilia per girare un documentario su Balcescu, visita, oltre Palermo, Catania e Taormina, una città assolutamente fuori dai circuiti turistici tradizionali, Caltagirone, che lo incanta con le sue ceramiche, i suoi colori, la sua “luce lilla”, il paesaggio, la Scalinata della Matrice, “santificata….dalla fatica e dall’amore per il bello degli artigiani che l’hanno fatta”.
Alla Sicilia Grigorescu dedica descrizioni colme di poesia e di forza pittorica, dove il punto di maggiore risonanza è la luce: “argentea” della polvere dei templi, o “dorata” per lo zolfo, o “viola come il peccato”.
E’ forse Grigorescu, insieme a Paler, ad aver maggiormente percepito il segreto di una terra fatta di forti contrasti, di luce e lutto, il deserto paradiso dove, come canta la poesia di Quasimodo, “rombano abissi / di acque, di stelle, di luce”.

Angela Diana Di Francesca



Nicolae Balcescu                                                             Vasile Alecsandri